Ieri è toccato a Carol Maltesi, ma a molte altre prima di lei e, purtroppo, altre ce ne saranno dopo. In questo Paese ancora una volta si è fatto il processo alla vittima di un femminicidio tanto quanto al suo carnefice. Forse più che al suo carnefice. Carol definita dai giudici “giovane e disinibita”, e il suo omicida – che l’ha uccisa a martellate, sgozzata e poi fatta a pezzi – ha agito per “il senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte”.
Sono parole intrise di stereotipi di genere ben radicati, e ciò è dimostrato anche dal fatto che gli stessi giudici non si rendono conto di averli usati. Purtroppo non ci stupisce: in generale, in questo Paese non ci si rende conto di tutte le volte che quotidianamente si fanno atti di violenza di genere e fra generi, non necessariamente verbale o fisica. È violenza quando impediamo a una donna di realizzarsi nella carriera; è violenza quando le rendiamo difficile gestire il tempo che vorrebbe dedicare ai figli; è violenza quando il suo salario è inferiore agli uomini che svolgono la stessa mansione; è violenza quando diamo per scontato che sulle sue spalle ricada “naturalmente” la cura della famiglia. È violenza tutte le volte che una donna si sente costretta a operare determinate scelte controvoglia, perché “tocca a lei in quanto donna”.
Un efferato omicidio come quello di Carol Maltesi è l’epilogo più orrendo di un sistema culturale intessuto di queste violenze. Come donne della Fnp Veneto, e come Coordinamento regionale per le Politiche di genere, riscontriamo questa arretratezza culturale nel nostro lavoro quotidiano, nelle attività di sensibilizzazione, divulgazione e prevenzione che facciamo. E se il nostro impegno è quello di arrivare a una uguaglianza di genere in cui le differenze siano portatrici di valore e non di svantaggi, non possiamo non riconoscere che molta strada deve essere ancora fatta. Le pari opportunità sono un concetto bellissimo, ma ancora sono solo parole. E quelle penalizzate di più sono ancora le donne.
Ma non ci rassegniamo. Lo facciamo per noi stesse: molte di noi hanno vissuto in gioventù le battaglie per i diritti civili delle donne. E lo facciamo soprattutto per le nostre figlie e le nostri nipoti, perché sappiano da dove arrivano quei diritti e sappiano che dovranno anche loro farsi carico di difenderli.