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PADOVA/PARMA : IL CROLLO DELLA MARMOLADA ECCO IL PARERE DEI RICERCATORI CHE DA VENT’ANNI STUDIANO IL GHIACCIAIO

Comitato Glaciologico Italiano Università di Padova Università di Parma Istituto Nazionale
di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale OGS

In relazione alla tragedia della Marmolada dei giorni scorsi, i ricercatori del Gruppo di lavoro glaciologicogeofisico per le ricerche sulla Marmolada, che da vent’anni studiano il ghiacciaio, hanno voluto portare il proprio contributo alla comprensione del fenomeno.

Al Gruppo di lavoro glaciologicogeofisico per le ricerche sulla Marmolada fanno parte : 

Prof. Aldino Bondesan, glaciologo dell’Università di Padova, responsabile del Comitato
Glaciologico Italiano (CGI) per il coordinamento della campagna glaciologica annuale nelle Alpi
orientali.
Prof. Roberto Francese, geofisico dell’Università di Parma e membro del Comitato Glaciologico
Italiano
Dr. Massimo Giorgi, Dr. Stefano Picotti, geofisici dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di
Geofisica Sperimentale OGS.

Il ghiacciaio della Marmolada è il più grande ghiacciaio delle Dolomiti ed è un fondamentale
termometro dei cambiamenti climatici per la sua rapida risposta anche alle piccole variazioni di
precipitazioni e temperatura.
Il ghiacciaio è stato costantemente osservato sin dai primi anni del secolo scorso da parte del Comitato Glaciologico Italiano (CGI), che oggi si occupa del rilevamento di circa 200 ghiacciai alpini.
Il CGI, sin dalle sue origini che risalgono al 1895, ha contribuito alla raccolta di dati quantitativi,
fotografie, rilievi, progressivamente messi a disposizione della comunità scientifica e civile.
Tutte le relazioni annuali redatte a partire dalla fine del secolo XIX sono accessibili e liberamente
scaricabili dal sito istituzionale (https://www.glaciologia.it/).
Nel corso dell’ultimo secolo il ghiacciaio della Marmolada si è ridotto di più del 70% in superficie e
di oltre il 90% in volume e, ad oggi, esso è grande circa un decimo rispetto a cento anni fa.
Il ritiro ha mostrato una progressiva accelerazione, tanto che negli ultimi 40 anni la sola fronte
centrale è arretrata di più di 600 m risalendo nel contempo in quota di circa 250 metri.
La velocità di ritiro media è stata di

0,5 m/anno 19021906

5 m/anno 19251938

8,4 m/anno 19511966

10,3 m/anno 19712015

Tra le principali cause vi è certamente l’aumento della temperatura e in particolare, nella zona
della Marmolada, della temperatura minima invernale che nel corso di 35 anni di osservazioni è
aumentata di circa 1,5 gradi.


Il crollo del 3 luglio 2022  ha interessato un lembo residuale del ghiacciaio centrale che occupa una
piccola nicchia a ridosso della cresta sommitale sotto Punta Rocca formando un “ghiacciaio
sospeso”.
Il crollo, in fase di studio, si è verificato per una serie di condizioni il cui relativo peso ad oggi non è
di facile determinazione. Tra queste vi sono:

la forte inclinazione del pendio roccioso;

l’apertura di un grande crepaccio che ha separato il corpo glaciale in due unità;

la presenza di discontinuità al fondo e sui lati;

l’aumento anomalo delle temperature che hanno influito sullo stato del ghiaccio;

l’aumento della fusione con conseguente incremento della circolazione d’acqua all’interno
del ghiaccio che può aver innescato una crescita dello stress sulle superfici di discontinuità;

la fusione progressiva della fronte glaciale che ha fatto mancare sostegno alla massa sospesa.


Prima del crollo non si sono osservati dei segnali evidenti di un collasso imminente. Salvo rarissimi
casi, nei ghiacciai, a differenza delle frane, non vi sono sistemi di allerta che misurano movimenti e
deformazioni in tempo reale. I crepacci, che hanno avuto un ruolo fondamentale nel distacco,
erano visibili già da diversi anni e di per sé fanno parte della normale dinamica glaciale.

Ci dobbiamo aspettare altri crolli in futuro?
Il distacco di seracchi è un fenomeno frequente nei ghiacciai e fa parte della normale dinamica
glaciale, più raro il caso di collassi in blocco come quello verificatosi in Marmolada. Il ritiro e il
riscaldamento determinano un aumento della frequenza degli eventi e in generale un aumento
della pericolosità delle fronti glaciali. L’osservazione annuale di molti ghiacciai è stata
recentemente abbandonata proprio per l’incremento delle condizioni di rischio alle fronti glaciali.
Tuttavia, non tutti i ghiacciai presentano le medesime condizioni di pericolo che variano in
funzione della temperatura, ma anche della morfologia, delle pendenze, delle dimensioni e di altri
parametri. Ogni ghiacciaio va studiato singolarmente individuando i rischi specifici che si sommano a quelli già insiti nella frequentazione dell’ambiente alpino.


Eventi simili si sono già verificati in passato?
Collassi di intere porzioni di ghiacciaio si sono registrati anche negli anni recenti in diverse aree delle Alpi. Solo un mese fa due alpinisti sono deceduti per il distacco di seracchi dal Grand Combin.
Il ghiacciaio Planpicieux (Monte Bianco), sottoposto a monitoraggi dal 2020, aveva di fatto messo a
rischio la sottostante Val Ferret. Un evento molto simile, anche nelle dinamiche, a quello della
Marmolada si è verificato nel luglio del 1989 nel ghiacciaio superiore di Coolidge (Monviso),
fortunatamente senza vittime. L’analisi della cartografia storica della stessa Marmolada evidenzia
la probabile presenza di analoghi distacchi che potrebbero essersi verificati sul finire dell’800.


Il ritiro dei ghiacciai è la manifestazione più evidente di un cambiamento climatico in atto i cui
effetti sono visibili anche in molti altri fenomeni che interessano il pianeta. Ciò che desta maggior
preoccupazione è la progressiva accelerazione del ritiro glaciale, che impone una revisione degli
scenari climatici più ottimistici predisposti dagli scienziati.

Cosa possiamo fare?
Nel lungo termine l’unica azione efficace è quella di trovare un accordo globale che consenta la
riduzione dell’emissione di gasserra per mitigare il riscaldamento terrestre.
Nel brevemedio termine si può solamente ricorrere a strategie di adattamento che consentano la
razionalizzazione delle risorse e una maggiore efficienza nella realizzazione delle infrastrutture, nei
processi industriali e nei modelli sociali.


Le previsioni sono sempre un esercizio piuttosto difficile quando si parla di sistemi naturali.
Se saranno confermati gli attuali andamenti anche nei prossimi anni, è molto probabile che il
ghiacciaio della Marmolada scompaia prima del 2040. Se dovesse rallentare il processo di
riduzione della massa glaciale, in ogni caso è improbabile che possa conservarsi oltre il 2060.
Solo pochi anni fa i modelli prevedevano una vita del ghiacciaio per altri 100 o 200 anni.
È evidente quindi come i modelli predittivi debbano essere costantemente aggiornati e migliorati e
come sia fondamentale garantire (e possibilmente migliorare) il monitoraggio dei ghiacciai con
particolare attenzione alle loro variazioni volumetriche.

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