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PADOVA : 242 LE SCADENZE ENTRO FINE LUGLIO 830 MILIONI DI TASSE PER IL TERRITORIO CONFAPI: «DETASSIAMO GLI UTILI REINVESTITI DALLE IMPRESE MANIFATTURIERE PER DARE NUOVO IMPULSO ALLA PRODUZIONE INDUSTRIALE»

Un ingorgo. Difficile definirlo in altri termini. Luglio è particolarmente impegnativo sia per la combinazione di caldo e maltempo, sia per l’assommarsi delle scadenze fiscali da onorare entro il 31 del mese. Considerando versamenti, dichiarazioni e istanze – come riportato nello scadenzario dell’Agenzia delle entrate – in meno di 15 giorni si contano infatti ben 242 appuntamenti fiscali in scadenza, tra cui Irpef, cedolare secca, Iva, Ires e sostitutive varie, senza considerare i termini per la gestione dei 730, con la chiusura allo scorso 23 luglio della terza finestra temporale per le trasmissioni dei modelli. E a ingolfare ulteriormente il periodo si aggiunge la gestione delle numerose comunicazioni di irregolarità trasmesse in questi giorni dalla stessa Agenzia delle entrate, comprese le ultime relative alla liquidazione dei trattamenti di fine rapporto erogati nel 2019. Ebbene, secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ipotizzando che l’ammontare delle entrate tributarie erariali sia in linea con quello del 2022, si possono stimare introiti per le casse dello Stato pari a 45,5 miliardi. Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha calcolato che il peso che graverà sui contribuenti veneti a luglio sarà pertanto di circa 4,19 miliardi mentre quello sui contribuenti padovani sarà di 830 milioni, considerando nell’insieme imprese, lavoratori dipendenti e possessori di altri redditi.

Evidenzia il presidente di Confapi Padova Carlo Valerio, che poi allarga la prospettiva di analisi. «A nostro avviso sono due i punti fondamentali da toccare nell’affrontare il tema. Il primo riguarda la sburocratizzazione, quanto mai urgente. La recente legge delega in materia fiscale è apprezzabile per il tentativo di alleggerire gli adempimenti fiscali sia a carico delle persone fisiche sia degli imprenditori, ma occorre tramutarla in qualcosa di concreto. Oggi un nostro imprenditore impiega 238 ore per pagare le imposte, il 46% in più della media dei Paesi Ocse, come attestano le statistiche della Banca Mondiale. Tradotto in altri termini, significa che 30 giorni lavorativi se ne vanno solo per incombenze relative a racimolare le informazioni necessarie per il calcolo delle imposte, il loro completamento e l’effettiva presentazione. Vi pare possibile che un mese di lavoro possa andar via così? Si tratta di tempo e risorse sottratte all’attività d’impresa». Il secondo punto che il presidente Valerio tiene a toccare riguarda l’impulso che la detassazione degli utili reinvestiti porterebbe alla produttività. ” L’imprenditore chiede che restino maggiori risorse per investire, e che restino maggiori risorse ai collaboratori. Non chiede di risparmiare, ma di poter investire con minori costi “sistemici”. Ma quale potrebbe essere il beneficio per ogni impresa da una defiscalizzazione degli utili reinvestiti? Per calcolarlo è utile ripercorrere quanto era accaduto nel 2019. La detassazione ipotizzata nel Ddl Meloni ricorda infatti una similare misura introdotta con la legge di bilancio dall’allora governo giallo-verde, quando per gli utili reinvesti venne portata al 15% invece del 24%. In quel caso si abolirono contestualmente sia l’Ace (Aiuto per la crescita economica) sia l’Iri. La riforma ebbe vita breve per le sue difficoltà applicative e, successivamente, il nuovo governo giallo-rosso fece marcia indietro e reintrodusse l’Ace. Ma vale la pena di ricordare che nella Legge di Bilancio 2019 la minore tassazione per le aziende di nove punti percentuali veniva valutata 1,9 miliardi di euro, con un beneficio che Fabbrica Padova stima in 175 milioni per le imprese venete e di 35 milioni per quelle del territorio provinciale. Ogni punto percentuale di tasse in meno sugli utili reinvestiti, in sostanza, incideva per circa 4 milioni di euro (per l’esattezza 3,8 milioni) sui conti delle imprese. Attenzione: si trattava di un beneficio diretto, senza cioè considerare l’enorme impulso che una defiscalizzazione degli utili reinvestiti darebbe in termini di incentivo alla produttività e all’occupazione, a beneficio dell’intera comunità.

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