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PADOVA : L’INVERNO DEMOGRAFICO ENTRO IL 2044 CI SARANNO PIÙ INATTIVI CHE LAVORATORI

Per ogni 100 lavoratori nel 2004 c’erano 66 persone inattive, oggi sono 81 e nel 2044 saranno 119. Gli over 65 passeranno da 160 mila a 317 mila: il doppio. Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha analizzato i numeri relativi alla forza lavoro nel territorio, proiettandosi sugli scenari demografici dei prossimi vent’anni. Ne esce un quadro allarmante. Il presidente Carlo Valerio: «Il tema deve essere al centro dell’agenda politica. Serve una strategia che crei discontinuità verso un nuovo patto sociale, fortemente inclusivo».
Per ogni dieci persone che lavorano ce ne sono otto che non lo fanno, perché disoccupate, inattive, troppo giovani o in pensione. Fra dieci anni il rapporto sarà in sostanziale parità. E fra venti, nel 2044, a 100 lavoratori corrisponderanno 119 “non attivi”. In pratica, ogni lavoratore avrà in carico 1,19 persone. La proiezione riguarda la provincia di Padova, ma i dati non sono molto diversi da quelli del resto d’Italia. Li ha calcolati Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, a partire dalle stime Istat, per porre nuovamente l’attenzione su un tema, quello del famigerato “inverno demografico”, cruciale per le sorti del Paese e non solo del Paese.
Il focus è stato posto sull’indice di dipendenza strutturale, vale a dire il rapporto tra la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) e la popolazione in età attiva (15-64 anni), moltiplicato per 100. Fabbrica Padova ha preso in esame il dato del 2024: prima lo ha confrontato a quelli di 2004 e 2014 e poi lo ha rapportato alle proiezioni previste per il 2034 e il 2044, se le tendenze demografiche in atto rimarranno queste. Il centro studi di Confapi ha poi elaborato una particolare versione dell’indice (chiamato indice di dipendenza strutturale effettivo), rapportando la popolazione in età non attiva (0-14 anni e 65 anni e più) a quella in età attiva, a cui è stata sottratta, però, l’incidenza di disoccupati (ovvero chi è impegnato nella ricerca di un impiego, ma che non lavora) e inattivi (studenti o persone che non studiano e non lavorano), tenendo come base per le stime sulle prossime due decadi i dati registrati nel 2023 (disoccupazione al 3,9%, dato peraltro fra i più bassi di sempre, e tasso di inattività al 25,2%). Ne risulta un’escalation a dir poco allarmante.
Se nel 2004 a ogni 100 lavoratori corrispondevano 66 persone non attive, dieci anni dopo il rapporto è salito a 100 contro 75. Oggi si assesta a 100 contro 81. Ma fra dieci anni, proseguendo agli stessi ritmi, il dato salirà a 100 persone che lavorano e 97 che non lavorano. E nel 2044 sarà già ampiamente avvenuto il sorpasso, con 119 inattivi ogni 100 lavoratori. Quasi due volte rispetto a quattro decadi prima. Lì dove l’aspetto che più deve far riflettere è dato dall’aumento dell’incidenza della popolazione sopra ai 65 anni di età sul totale: era il 18,4% del totale nel 2004, oggi è pari al  24,4%, fra vent’anni salirà al 34,3% del complesso della popolazione, il tutto nonostante l’ipotesi di saldi migratori positivi calcolati dall’Istat e sempre considerando gli scenari “mediani” in ogni proiezione. Tradotto in numeri assoluti, significa che se nel 2004 gli over 65 residenti nella provincia di Padova ammontavano a circa 160 mila persone, oggi sono più di 221 mila, mentre nel 2044 sfioreranno le 317 mila unità. Sostanzialmente il doppio.
«Il fatto che le persone vivano più a lungo e in una salute migliore è un risultato sicuramente positivo», sottolinea Carlo Valerio, presidente di Confapi Padova, analizzando lo studio. «Ma è altrettanto evidente che un così un rapido invecchiamento della popolazione richiede azioni che consentano di compensare le sue conseguenze potenzialmente gravi per gli standard di vita, le imprese e la finanza pubblica. Vale in tutte le nazioni nelle nostre condizioni, ma in particolar modo in Italia, dove l’età mediana della popolazione – attualmente 48,3 anni – è la più elevata tra i paesi UE. Nel giro delle prossime due decadi “perderemo” quasi 100 mila persone in età lavorativa, con conseguenze nefaste per la spesa pensionistica e sanitaria».
E non solo. A ogni indagine congiunturale fra le aziende del territorio il grido d’allarme è infatti sempre il medesimo: un’impresa su due fatica a trovare le figure professionali di cui ha bisogno sia per ruoli ad alta professionalizzazione, sia per mansioni più generiche. Mentre il costo del lavoro resta fra i più alti. «Va considerato che oggi siamo in regime di piena occupazione. Per questo anche un tasso di inattività relativamente basso e decisamente minore a quello di altre aree del Paese incide. Succede così che le aziende siano costrette a rinunciare a una quota importante degli ordinativi, poiché non hanno le risorse umane sufficienti per far fronte a nuove commesse», aggiunge il presidente Valerio.
Quali le possibili contromisure, allora? «Pensare a una rapida inversione delle tendenze demografiche è, ahinoi, utopistico. Ma serve una strategia che crei discontinuità verso un nuovo patto sociale, fortemente inclusivo. Per questo da un lato occorre innalzare il tasso di occupazione giovanile, che in Italia è tra i più bassi in ambito UE, ricordando che gli istituti professionali e quelli tecnici non sono scuole di secondo piano, ma realtà chiamate a formare gli operai e i tecnici del futuro. Allo stesso tempo innalzare il tasso di occupazione dei lavoratori anziani, che in Italia è ancora relativamente basso a causa di un eccessivo ricorso ai pensionamenti anticipati e a insufficienti incentivi a prolungare la permanenza al lavoro. Vale ancor di più per il tasso di occupazione femminile, tra i più bassi in ambito europeo: per questo occorrono anche politiche volte a tutelare le lavoratrici madri che spesso, se non supportate da una rete familiare, si vedono costrette a uscire dal mercato del lavoro. Ma soprattutto al centro va messa la formazione continua, mirata a evitare l’obsolescenza delle competenze. Ultimo ma non ultimo il tema dell’accoglienza diffusa, che coinvolga le comunità locali affrontando la questione immigrazione non solo dal punto di vista numerico, ma considerando la questione della selezione e delle competenze. Certo è che la questione inverno demografico deve essere affrontata di petto e messa al centro dell’agenda politica. Il 2044 è praticamente domani, non si può perdere altro tempo».

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