LONGARONE (BL) : La Croce Rossa Italiana è “di casa” a Longarone: conferita la cittadinanza onoraria nel 60° del Vajont
Abnegazione e coraggio, slancio umanitario, solidarietà. Ma anche organizzazione e coordinamento, quindi attività sul campo. Sono queste le parole che spiccano nella motivazione con cui la città di Longarone ha conferito la cittadinanza onoraria alla Croce Rossa Italiana. Un conferimento che è stato celebrato questa mattina, in una solenne cerimonia in municipio, all’interno del 60° del Vajont, alla presenza del presidente nazionale della Croce Rossa Italiana Rosario Maria Gianluca Valastro, delle ispettrici del Corpo delle Infermiere Volontarie sorella Emilia Bruna Scarcella (nazionale) e sorella Maria Luisa Catani (regionale), e di una folta rappresentanza locale. Alla cerimonia hanno preso parte anche il questore di Belluno Francesco Zerilli, il comandante provinciale dei carabinieri Enrico Pigozzo, e l’assessora alla Protezione Civile del Comune di Belluno, Lorenza De Kunovich.
«I soccorritori del Vajont hanno rappresentato per Longarone e per le comunità distrutte dall’onda del 9 ottobre 1963 un faro nel buio pesto della notte. Hanno dato un contributo essenziale per far rinascere i paesi» ha detto il sindaco di Longarone, Roberto Padrin, aprendo la cerimonia in sala consiliare, preceduta dalla fanfara della Croce Rossa Italiana che ha suonato in piazza il Canto degli italiani, l’Inno alla Gioia e “Di fiamma viva di sangue vivo” (inno della Croce Rossa). «Tra i soccorritori, tra i primissimi ad arrivare sui luoghi della catastrofe, proprio i volontari della Croce Rossa, a cui va il nostro grande e infinito grazie. Questa cittadinanza onoraria vuole essere il completamento della Giornata del Soccorritore celebrata domenica scorsa, ma anche un motivo di speranza e di auspicio, nel ricordo della grande solidarietà da sempre messa in campo dalla Croce Rossa».
LE TESTIMONIANZE
In sala consiliare era presente anche sorella Italia Luigia De Zorzi, una delle crocerossine intervenute all’indomani del 9 ottobre 1963. Proprio lei, con la commozione nel cuore, ha raccontato i ricordi di quei giorni di sessant’anni fa.
«Quella notte non potemmo arrivare a Longarone, perché il Piave era grosso e continuava a portare a valle cadaveri» ha raccontato De Zorzi. «Abbiamo fatto quello si poteva fare a Belluno: abbiamo raccolto in una villa a Safforze le persone ferite e i superstiti. Li abbiamo confortati come abbiamo potuto: erano disperati perché avevano perso tutto e tutti. Personalmente ho avuto il compito terribile di accompagnare i famigliari per il riconoscimento delle salme. Erano corpi nudi, perché il vento li aveva spogliati, e si riconoscevano a malapena. Alcuni era senza arti, completamente dilaniati. Ricordo distintamente il cimitero di Belluno, con tutte le bare bianche fatte di corsa. Con un’amica abbiamo ricevuto il compito di preparare i vestiti per le persone che avevano perso tutto. Quello che abbiamo visto in quei giorni resterà indelebile, per sempre impresso nella memoria». Durante la cerimonia sono state lette alcune testimonianze di crocerossine intervenute nei giorni del disastro, in cui si parlava di distruzione simile a quella provocata da una bomba atomica. Ed è stato proposto lo scambio epistolare tra l’ispettrice nazionale del 1963 Paola Menada e l’omologa locale, Bruna Azzano. Lettere accorate da cui emerge lo slancio umanitario ma anche la grandissima commozione. «Ringrazio per l’elogio immeritato che è arrivato» scrisse Azzano alla sua superiora Menada, nelle settimane difficili dell’ottobre 1963. «Avremmo dovuto fare molto molto di più. Mi scuso anzi per essere stata poco efficiente, ma il colpo provato è stato duro».
«Per me è un’emozione forte essere in questi luoghi» ha detto il presidente Cri nazionale Rosario Maria Gianluca Valastro. «Il sindaco si è rivolto a noi come se ci fossimo stati noi qui 60 anni fa. L’onore più grande è proprio quello di essere eredi delle donne e degli uomini di allora».