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PADOVA : I COMPONENTI DI SAT PINK CONTRO L’UNIVERSITA’

Scriviamo per portare all’attenzione della comunità accademica e dell’opinione pubblica un fatto recente di esclusione e discriminazione manifesta nel contesto dell’Università di Padova. Come associazione che si batte da oltre dieci anni per i diritti della comunità Transgender+, siamo rimasti profondamente delusi e indignati dalla gestione dell’evento di venerdì 17 maggio, presso l’Università di Padova, in occasione della giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia.

L’iniziativa, promossa dal Comitato Unico di Garanzia (CUG), aveva l’obiettivo di presentare ricerche premiate sui temi dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e della lotta alle discriminazioni. Nonostante la rilevanza di questi argomenti, denunciamo un grave vuoto di rappresentanza della comunità transgender tra le/gli “esperti” invitati a intervenire. In una comunicazione scritta al CUG, Giovanni Papalia, componente del direttivo, ha sollevato con preoccupazione il fatto che nessuna persona transgender fosse stata inclusa tra gli/le speaker dell’evento. La risposta ricevuta è stata non solo deludente ma anche piuttosto imbarazzante, considerata la natura del Comitato (Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni).

La risposta è stata che la programmazione dell’evento e la selezione degli oratori invitati a partecipare era stata operata proprio alla luce delle loro competenze professionali e della loro esperienza e non della loro identità di genere. Nella risposta si sottolineava inoltre che l’identità di genere non dovesse costituire un criterio per “etichettare” le persone, precisazione che riteniamo interessante dato l’argomento trattato. Ancora una volta si esclude un’intera comunità dal tavolo del dibattito. Ancora una volta si tenta di rigirare la frittata dipingendo le nostre istanze come discriminazione al contrario. La segnalazione che dovesse essere inclusa almeno una voce di persona T* è stata trasformata in un tentativo di “etichettare” in base al genere. Come ci permettiamo di dire che un panel di “esperti” cisgender non sia qualificato per parlare di noi meglio e con più cognizione di causa?

Dobbiamo stare zitt3 e lasciare ancora che siano “i grandi” a decidere cosa sia meglio per noi, cosa ci faccia o non ci faccia sentire discriminat3, a decidere sempre e comunque come gestirci. È la solita vecchia storia. Quella degli uomini che si radunano da Vespa a discutere l’annosa questione dell’aborto. Sempre dall’alto del loro privilegio. Sempre sui corpi delle/degli altri.Non è stata la prima e purtroppo non sarà l’ultima volta che qualcunƏ da una posizione di privilegio, ci viene a spiegare che dobbiamo stare al nostro posto e lasciar decidere a chi ne sa di più. Anche sulle nostre identità.

E tuttavia, la mancanza di rappresentanza e di voci transgender+ in un evento del genere è sintomatica di una perpetuazione delle disuguaglianze e delle discriminazioni che i nostri sforzi dovrebbero combattere. Se davvero vogliamo aprire un dialogo sulle discriminazioni è imperativo includere le voci delle persone nelle conversazioni che riguardano le loro stesse vite.Potevamo aspettarci di meglio da un’istituzione che sceglie di chiudere le porte delle aule a chi protesta contro un genocidio? Forse no, ma cara Università, “anchora imparo” puoi dirlo forte!

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