PADOVA : SEQUESTRATI BENI PER 5,5 MILIONI DI EURO CIRCA E UNA MINING FARM REALIZZATA CON I PROVENTI DELL’EVASIONE FISCALE
I Finanzieri del Comando Provinciale di Padova e del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi
Tecnologiche di Roma, coordinati dalla Procura della Repubblica di Padova, hanno dato esecuzione a un
provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca dei beni e disponibilità finanziarie nella
disponibilità di due imprenditori e di imprese considerate riconducibili agli stessi, indagati per reati tributari e autoriciclaggio.
L’evasione fiscale ricostruita, quantificata in 5,5 milioni di euro circa, si è concretizzata nella simulazione di
contratti di appalto di servizi, che, in realtà, avrebbero celato una somministrazione illecita di manodopera.
La differenza tra i due istituti è sostanziale: la somministrazione è una fornitura di manodopera da parte di
un’agenzia autorizzata a favore di un’impresa, mentre l’appalto si caratterizza per la realizzazione delle richieste del committente con mezzi e organizzazione propri dell’appaltatore. Ne consegue che nel contratto di appalto i lavoratori rispondono alla società appaltatrice, la quale ne cura la direzione e il controllo; nella somministrazione è l’utilizzatore, invece, che impartisce ai lavoratori le direttive da eseguire.
Le società committenti, principalmente delle province di Padova e Verona, si sarebbero rivolte, per il reclutamento del personale, a una società consortile operante in Veneto, non abilitata alla somministrazione di manodopera, ma deputata all’assistenza delle imprese per consulenza e pianificazione aziendale, riferibile ai due indagati destinatari della misura cautelare reale.
Il predetto ente si sarebbe formalmente interposto tra le imprese clienti e alcune cooperative di lavoratori, con sede a Milano, Monza, Napoli, Varese, Parma, Torino e Rovigo, prive di strutture, mezzi e capacità gestionali, di fatto dirette dai due principali indagati secondo la prospettazione accusatoria, fungendo da meri “serbatoi di manodopera” per provvedere all’assunzione delle maestranze con il relativo sostenimento degli oneri retributivi, fiscali e contributivi. Anche attraverso l’escussione testimoniale di oltre 100 lavoratori dipendenti e l’analisi di comunicazioni e supporti digitali aziendali emergevano elementi a suffragio dell’ipotizzata inesistenza sostanziale delle società cooperative appaltatrici, in ragione di un rapporto di mono-committenza di somministrazione della manodopera con il citato consorzio.
È stato riscontrato, inoltre, che le cooperative fatturavano all’ente consortile i soli costi riferiti al “netto in busta paga”, così consentendo a quest’ultimo di poter essere competitivo sul mercato del lavoro in virtù del prezzo inferiore praticato ai clienti. Tuttavia, i debiti tributari e contributivi non venivano onorati dalle cooperative, con conseguente ingente danno per l’erario.
Non solo, è stato ipotizzato, altresì, che parte del profitto generato sia stato investito nell’acquisto di schede video (GPU), utili alla realizzazione di una mining farm, cioè una struttura hardware e software dalle altissime
prestazioni e dagli elevatissimi consumi di energia elettrica, in grado di risolvere simultaneamente e in sequenza,
nell’ambito di una tecnologia a consenso distribuito quale la blockchain – all’interno della quale vengono
movimentate le varie criptovalute presenti sul mercato – complessi algoritmi matematici, sfruttando la potenza di
calcolo (hashing power) delle macchine. Tale operazione consente, da un lato, la validazione di transazioni di altri
utenti della rete dietro compenso al minatore e, dall’altro, di sbloccare ulteriore quantità di criptovaluta mediante
la creazione di nuovi blocchi all’interno della catena, in modo da garantire l’operatività dell’intero ecosistema delle criptovalute.
La struttura sottoposta a sequestro, il cui fabbisogno energetico medio ammontava a quasi 100 mila euro all’anno, era stata allestita all’interno di un prefabbricato posto negli spazi aziendali e dotato di un impianto di ventilazione, uno di raffreddamento e uno antincendio. La stessa si componeva di un PC, che fungeva da “postazione di gestione”, cui erano connesse oltre 350 schede video, complete di schede madri funzionali al mining, suddivise in 31 gruppi omogenei di elaborazione (costi confluiti nel conto economico del consorzio).
Gli accertamenti svolti hanno permesso di individuare diversi portafogli virtuali (wallet), nella disponibilità del
soggetto considerato il promotore del meccanismo evasivo, in cui erano confluite criptovalute prodotte dalla
struttura informatica. I successivi approfondimenti investigativi, finalizzati a censire le operazioni disposte dal
crypto wallet, consentivano di rilevare anche l’acquisto di opere d’arte digitali, sotto forma di NFT (Non Fungible
Token), della collezione Bored Ape Yacht Club.
Alla luce delle evidenze investigative, si ipotizza che l’attività di produzione della moneta virtuale sia stata
adeguatamente pianificata e finalizzata a ostacolare l’identificazione della provenienza illecita dei cospicui
proventi derivanti dall’evasione fiscale, impiegati anche per l’acquisto di energia elettrica, apparentemente inerente all’attività d’impresa e utilizzata, invece, anche per l’attività di mining.
All’esito delle attività di polizia giudiziaria, i soggetti ritenuti autori delle condotte contestate sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura della Repubblica di Padova per emissione e utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (considerate non veritiere per un ammontare di 17 milioni di euro circa), dichiarazione infedele, omesso versamento di IVA e autoriciclaggio.
Con il provvedimento in rassegna, eseguito in collaborazione con personale del Nucleo Speciale Tutela Privacy e
Frodi Tecnologiche di Roma, è stato disposto il sequestro di disponibilità finanziarie reali e virtuali, immobili,
un’imbarcazione da diporto di 15 metri del valore stimato di 1 milione di euro, nonché della mining farm, che
avrebbe generato ulteriori introiti, una volta convertite le criptovalute così ottenute in valuta avente corso legale.
Durante le attività condotte con il supporto tecnico della componente specialistica del Corpo, le Fiamme Gialle
sono state in grado di cautelare 55 criptovalute “Ethereum”, nonché ulteriori criptovalute di vario tipo per un
controvalore complessivo di 100 mila euro circa. Sono stati, inoltre, sottoposti a sequestro due Utility Token, in
possesso dell’indagato per fornire accesso a due specifiche mining pool (i.e. mining farm virtuali). In sostanza,
questi token avrebbero permesso ad altri utenti di connettersi alla rete di mining della “farm capofila”, consentendo loro di inserirsi nello stesso team di lavoro per la validazione delle transazioni di altri attori operanti nella blockchain, come sopra descritto, al fine di generare un profitto.
L’indagine svolta, tra le più rilevanti per reati fiscali connessi al mining di criptovalute, testimonia l’impegno che
la Guardia di Finanza riserva al contrasto di qualsiasi forma di distorsione della concorrenza e di ogni illecito
economico-finanziario che venga attuato anche nel panorama digitale.
Il risultato, tra i primi casi in Europa di sequestro di mining farm, una fisica e due virtuali, effettuato anche grazie
al know-how che la componente specialistica del Corpo ha sviluppato nel tempo nello specifico campo delle
investigazioni nel mondo dei criptoasset, è il frutto di una sinergica collaborazione tra il citato Nucleo Speciale –
Reparto con competenza operativa e di supporto nazionale nelle ricerca, prevenzione e contrasto degli illeciti
perpetrati sfruttando i mezzi tecnologici e informatici in tutti i segmenti strategici presidiati dal Corpo, con
riguardo, tra l’altro, ai virtual asset e all’analisi della blockchain – e il Nucleo di Polizia economico-finanziaria di
Padova, che ha condotto le indagini, ricostruendo il sistema evasivo e le correlate operazioni di reimpiego dei
profitti ritenuti di natura illecita.
Si sottolinea che il procedimento penale è ancora pendente nella fase delle indagini preliminari .