VICENZA : “VICENZA JAZZ” CONTINUA LA KERMESSE CON I MIGLIORI RAPPRESENTANTI DEL MONDO JAZZ .
Mercoledì 18 maggio prevede una tripletta di concerti serali per il festival New Conversations – Vicenza Jazz. Il doppio set originariamente previsto al Teatro Olimpico per motivi tecnico-organizzativi si svolgerà invece al Teatro Comunale (ore 21): si inizierà con John Surman (sax baritono) e Vigleik Storaas (pianoforte), un duo magistrale in tema di “jazz nordico”, e si proseguirà con una produzione originale del festival, l’Earth Trio, che raggruppa importanti figure del jazz nazionale come Paolo Damiani (contrabbasso), Rosario Giuliani (sax alto e soprano) e Zeno De Rossi (batteria).
Scott Hamilton, uno dei più raffinati stilisti del sassofono swing, si esibirà al Jazz Café Trivellato – Bar Borsa (ore 21:30, ingresso gratuito) con il suo ben rodato quartetto con Paolo Birro al pianoforte, Aldo Zunino al contrabbasso e Alfred Kramer alla batteria.
I Third Wave del batterista Fabio De Angelis saranno i protagonisti del nuovo appuntamento pomeridiano (ore 18) a Palazzo Chiericati.
John Surman è l’altra faccia del sassofono nordico, quella che meglio si contrappone all’egemonia sonora patinata di Jan Garbarek. Buona testimonianza di ciò è la sua sterminata presenza nel catalogo discografico dell’ECM a partire dalla fine degli anni Settanta, sia con i suoi dischi da leader che come partecipante a gruppi altrui: da Barre Phillips a Miroslav Vitous, Jack DeJohnette, Paul Bley, John Abercrombie, Tomasz Stańko…
Nato nel Devonshire nel 1944, John Surman irrompe sulla scena musicale britannica negli anni Sessanta, riuscendo a viverne anche l’eccitante ondata rock. I suoi primi album da leader infatti escono su etichette decisamente rivolte al grande pubblico pop (Deram e Islands tra le altre). Ma le sue radici jazzistiche erano già ben piantate sin da allora, evidenti nelle collaborazioni con Mike Westbrook, Dave Holland, Chris McGregor, John McLaughlin, la Kenny Clarke-Francy Boland Big Band. Per gli anni a venire non resta che citare un po’ alla rinfusa, data l’inarrestabile attività di Surman: da Gil Evans a Terje Rypdal, Archie Shepp, Warne Marsh…
Difficile incasellare Surman, che ha saputo esprimersi con la massima eloquenza nei territori della più libera improvvisazione come in quelli della musica modale o delle più levigate sonorità d’ambiente. A Vicenza lo troveremo in compagnia del pianista norvegese Vigleik Storaas. La collaborazione tra i due risale alla prima metà degli anni Novanta (nel Nordic Quartet, immortalato anche su un disco ECM). Oltre alla frequentazione con Surman, Storaas si è fatto notare al fianco di Norma Winstone, Terje Rypdal, Niels Henning Ørsted-Pedersen, Chet Baker, Jack DeJohnette e Warne Marsh.
Paolo Damiani e Rosario Giuliani sono musicisti che solitamente si muovono in ambiti assai diversi: il contrabbassista ha inventato un linguaggio originale che si inserisce nel canone del jazz europeo, spostando l’estetica della musica improvvisata in contesti non tradizionali; il sassofonista ha elaborato invece la grande lezione del jazz afroamericano (Charlie Parker, Cannonball Adderley, John Coltrane) sviluppando su questa scia una sua personale poetica. Il loro sembrerebbe dunque un incontro improbabile sulla carta. Eppure i due suonano e registrano insieme da molto tempo e hanno ripetutamente dimostrato di saper immaginare nuovi scenari e connessioni, sentieri intuitivi in cui riescono a trovare affinità e contiguità estetica.
Per questo loro nuovo progetto, l’Earth Trio (che va in scena per la prima volta assoluta a Vicenza Jazz), hanno coinvolto Zeno De Rossi, figura di spicco tra i percussionisti europei.
Il concerto si baserà su composizioni originali dei tre artisti, con ampio spazio riservato all’improvvisazione, prendendo come punto di riferimento il memorabile trio Air, fondato nel 1971 da Henry Threadgill, Fred Hopkins e Steve McCall. Le parole d’ordine saranno dunque libertà espressiva e modernità melodica.
Quando, nel 1976, Scott Hamilton (nato a Providence, Rhode Island, nel 1954) si trasferì a New York, dovette suscitare non poca curiosità: negli anni in cui imperversava il jazz-rock lui se ne venne fuori con un suono puro e immacolato saldamente radicato nella tradizione tenorile degli anni Quaranta. Fortuna o lungimiranza? A partire dagli anni Ottanta, infatti, con il definitivo ritirarsi della marea jazz-rock (e anche di fronte a un’avanguardia sempre meno graffiante) Scott Hamilton si è imposto come tenorista per eccellenza del mainstream jazzistico. I dischi incisi a partire dal 1977 per la Concord hanno consolidato il suo status di icona del sax d’estrazione swing: decine di album come leader, assieme a Gerry Mulligan, Tommy Flanagan, Charlie Byrd, Al Cohn, Buddy Tate, Ken Peplowski…
L’estetica di Hamilton dopo oltre quattro decenni di carriera non ha mai vacillato: così ancora oggi nel suo sax risplendono le tinte profonde e luminose che furono di Coleman Hawkins e Ben Webster, come anche quelle corpose di Illinois Jacquet ed Eddie ‘Lockjaw’ Davis. Del resto non va dimenticato che a promuovere le sorti del giovane Hamilton, permettendogli di entrare in contatto e suonare con Anita O’Day, Hank Jones e Benny Goodman (nella cui band militò per diversi anni), fu niente meno che Roy Eldridge.